Focus on Laribi

04/03/2020

«Soddisfatto e fiero di indossare questi colori»

«Sono Karim Laribi, nella vita provo a giocare a pallone, mi diverto - il sorriso di Karim si illumina, non scontato, mai banale, una tranquillità e una presenza che senti forte anche fuori dal rettangolo di gioco -. Sono cresciuto a Milano fino ai 16 anni, poi mia mamma mi ha spedito a Londra per i troppi guai che combinavo. Per due anni sono stato all’Academy del Fulham; un’esperienza inizialmente bagnata da tante lacrime, per aver lasciato la scuola, gli amici, le abitudini; ma poi quella stessa esperienza mi ha ripagato con gli interessi. È molto evidente come il calcio oltremanica viene vissuto in maniera completamente differente, più easy, lasciando al campo il piacere e il dovere di far bene, poi fuori grande libertà. Credo ci si diverta di più, vuoi per le strutture che ti permettono di godere dell'evento in maniera differente, o per il semplice piacere di godersi il gioco. Anche il tifo presenta sostanziali differenze: sostegno alla propria squadra più che ostilità verso l’avversario, si va allo stadio per passione non per sfogo. 

Nella mia vita un posto speciale è per la mia famiglia con cui ho un ottimo rapporto, forte; con loro condivido tutte le mie scelte, sento il bisogno del loro appoggio e il primo pensiero dopo una partita è per loro, gli devo tanto. Mi hanno insegnato il rispetto e l’educazione; e poi c'è mio fratello, con lui ho un legame particolare che va oltre il rapporto di sangue, c'è amicizia, complicità; a luglio poi sposerò la mia Federica e nascerà una nuova famiglia, io, lei, una piccola gatta speciale e poi, in futuro, chissà».

La tranquillità e riservatezza del fantasista italo-tunisino deve fare però i conti con un mondo social sempre più presente e invadente: «Non bazzico molto i social, non ho questa mania; sono più uno strumento, la mia finestra sul mondo, per guardare posti lontani, paesaggi, studiare la moda, il design. Mi tiene in contatto con le persone a cui voglio bene, ma non è la prima cosa che faccio al mattino.  

La scelta di Bari non posso dire sia stata semplice e non per Bari in sé; per chi ha giocato tanto in B con sprazzi di A, tornare in C dopo aver conquistato sei mesi prima la massima serie. Al di là delle valutazioni iniziali sono davvero soddisfatto e fiero di indossare questi colori. Credo di essermi integrato bene; Schiavone lo conoscevo dai tempi di Cesena, Di Cesare mi ha "menato" un paio di volte. Sento il rispetto dei compagni e anche io ne do tanto, cerco di aiutare il gruppo, rompo le scatole negli spogliatoi, cerco di spronare, di dare quello che hanno insegnato a me. Prima di entrare in campo pochi pensieri: mi isolo, con la musica e una preghiera per non farmi male, ho già dato al riguardo. 

Il primo gol con il Bari è stato molto bello, sono stato anche fortunato; ricordo che Pippo Costa era vicino a me, mi ha fatto notare quanto fossimo lontani dalla porta, ma è andata bene, anche con un pizzico di fortuna. Per quanto ci si possa allenare durante la settimana, durante la partita il fattore emotivo è molto pù alto, c'è più paura di sbagliare. 

Ogni volta che entro al San Nicola mi torna in mente quel Bari-Latina di qualche anno fa, con 50.000 sugli spalti; per noi è stato come giocare con una zainetto di 10 Kg sulle spalle. Questo è uno stadio "pesante", poi ora, con i lavori, diventerà una chicca del Sud; ho la grande speranza che torni tanta gente, tutto il popolo barese allo stadio. Noi dobbiamo trascinare tutto il contesto con le nostre prestazioni, con l'agonismo e la voglia, sudando la maglia come si dice in questi casi. Vedremo dove saremo quando si tirerà la linea».

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